mercoledì, settembre 28, 2011

Dal 1° ottobre 2011 tornano "Le vie dei tesori"!

Per il 5° anno consecutivo, a partire da sabato 1 ottobre 2011 e per tutti i suoi 5 week-end, riparte La via dei tesori, un insieme di visite guidate gratuite, nel corso delle quali l’Università di Palermo apre al pubblico alcuni dei suoi “tesori”: giardini, palazzi, chiese, conventi e musei.

Contrariamente agli anni passati, quest’anno, sono 12 i siti aperti (due in meno), con qualche new entry, con modalità, però, simili alle edizioni scorse. Tutti i fine settimana di ottobre, infatti, in alcuni casi dal venerdì alla domenica, dalle 10 alle 18, dei giovani volontari dell'associazione "Amici dei Musei Siciliani" accompagneranno e assisteranno nel corso delle visite guidate gruppetti di persone ansiose di visitare palazzi, giardini o musei, per certi versi, in genere poco accessibili o, in altri, poco pubblicizzati perché, come nel caso del museo Doderlein, normalmente visitabili ogni settimana.

Quali sono i siti? Consigliandovi di visitare i vari tesori raggruppati per vicinanza e, soprattutto, a piedi, a partire dai siti che danno su piazza Marina, sarà possibile visitare Palazzo Steri, l’annessa chiesa di Sant’Antonio Abate e il sotterraneo Carcere dei Penitenziati tutti i venerdì (escluso chiaramente il 30 settembre), sabato e domenica di ottobre. Mancherà quest’anno all’appello l’Hotel de France, divenuto sede di uffici dell’amministrazione universitaria.

Spostandosi nel centro storico, dentro la Facoltà di Giurisprudenza, in uno dei locali che si aprono sul chiostro, in via Maqueda 172 sarà visitabile il piccolo gioiello barocco che è la Cappella dei Falegnami, il sabato e la domenica (esclusa domenica 9 ottobre).

Avviandosi verso la Stazione Centrale, in via Divisi 81, la via dei biciclettai, sarà visitabile la Cripta delle Repentite, vale a dire delle ex prostitute diventate monache, di sabato e domenica. Accanto alla Chiesa di S. Antonino, in corso Tukory 2, meta di visite sarà pure il Convento di S. Antonino, che custodisce ancora il mulino di legno e tutti i macchinari per la panificazione a livello “industriale”, a partire dal weekend dell’8-9 ottobre, di sabato e domenica.

Mete un po’ distaccate rispetto ai due gruppi già delineati sono il Museo di Zoologia Doderlein, in via Archirafi 18, visitabile soltanto per i 2 weekend dell’8-9 e 29-30 ottobre, e l’Orto Botanico, in via Lincoln 2, visitabile in tutti i weekend escluso quello del 29-30 ottobre.

Sarà poi possibile sostare al Museo di Radiologia, in Piazze delle Cliniche 2, al Policlinico, tutti i sabato e domenica, dalle 10 alle 18.


Scorcio del Museo di Radiologia

Percorrendo corso Tukory in direzione viale delle Scienze, tutti i sabato e domenica d’ottobre, è consigliabile fare una capatina al Museo Geologico Gemellaro.

Chiuderei la visita transitando nella cittadella universitaria di viale delle Scienze, entro la quale sorgono gli ultimi 3 siti: la naturalistica e un po’ selvaggia (attenti alle zanzare e al fango!) Fossa della Garofala, con ingresso dalla facoltà di Agraria, visitabile sempre di sabato e domenica e allo scoccare d’ogni ora dalle 10 fino alle 17; il Museo dei Motori e dei Meccanismi, manco a dirlo, ad Ingegneria, edificio 8, di sabato e domenica; infine, new entry sarà la Collezione Basile ad Architettura, includente le 34 tavole didattiche mediante le quali Giovan Battista Filippo Basile insegnava ai suoi studenti in aula. Anche in questo caso, le visite si svolgeranno di sabato e domenica, secondo gli orari già indicati.
Grande escluso, proprio perchè tale sito era visitabile solo su prenotazione, è, purtroppo, quest'anno, l'Osservatorio Astronomico di Palazzo Reale.
In genere si entra a gruppi di 20-30 persone e le visite oscillano dai 20 minuti a un’ora.

La cosa simpatica di quest’anno, contrariamente a qualche episodio spiacevole di qualche edizione fa, è che, sebbene i palermitani siano quelli del “tutto e subito”, non sarà possibile prenotare la visita prima e il turno di entrata si aspetterà buoni buoni in fila col sorriso a 50 denti, senza furberia alcuna.

Per ulteriori info:
091 6118168

martedì, settembre 27, 2011

Un piccolo promemoria.......

Salve a tutti, belli e brutti, purché sempre affezionati e, soprattutto, numerosissimi!


Vi piace la nuova veste del mio blog? Da qualche parte, tempo fa, ho letto che noi indossiamo il nostro corpo proprio come se fosse un abito (l’ha scritto il filosofo contemporaneo Mario Perniola, per l’inciso) così ho deciso che volevo cambiarlo tingendolo di colori un po’ più primaverili.

Vi piace?

Oggi vi scrivo solo un breve post-it al solo scopo di ricordarvi che, tra le mostre artistiche in corso, a Palermo, alcune stanno per terminare.

Per comodità, vi indico tutte quelle finora da me viste con relativo link e data di chiusura:

1) Fino a giovedì 29 settembre, a Mondello, nel lido "L’ombelico del mondo" esporrà Marisa Battaglia;

2) Fino a domenica 2 ottobre 2011, è possibile visita Mare Magnum, al Loggiato S. Bartolomeo;

3) Fino al 16 ottobre, sarà visitabile la Retrospettiva di Matilde Perez, a Palazzo S. Elia;

4) Sempre a Palazzo S. Elia, fino al 23 ottobre sarà possibile visitare Ab origine. 150 anni di Provincia attraverso gli abiti siciliani;

5) Infine, ma c’è ancora parecchio tempo, fino all’8 gennaio 2012, il Palazzo dei Normanni ospiterà Christo e Jeanne-Claude. Opere della collezione Wurth.



A presto!

domenica, settembre 25, 2011

Vista per voi: Matilde Perez con le sue sculture cinetiche arriva a Palermo

Ingresso dell'ex Cavallerizza di Palazzo S.Elia
Sarà visitabile fino al 16 ottobre 2011 la mostra “ “Matilde Perez. Retrospettiva”, nell’ex-Cavallerizza di Palazzo S. Elia, in via Maqueda 81, a Palermo.

Essa riunisce le opere create tra il 2008 e il 2010 ed esposte prima a Berlino e poi, fino al settembre 2010, a Parigi, dall’artista cilena Matilde Perez.

Nata e cresciuta in Cile, partita, alla fine degli anni ’50, per Parigi con una valigia carica di sogni e aspirazioni, proprio come faceva certa nobiltà d’altri tempi che, lasciata la terra natìa, compiva il Gran Tour del centro Europa per conoscere e fare esperienza del mondo, Matilde Perez incontrò il gruppo d’artisti, capeggiato da Victor Vaserely, che avrebbero cambiato la sua vita artistica: dal figurativismo tanto diffuso nel suo paese all’arte cinetica, all’epoca, tanto di moda e nata per rompere col passato e stupire.

Da allora l’artista, infaticabilmente, ha ideato e creato i suoi quadri-scultura, fatti di quadratini e triangolino colorati, che univano tecniche tra le più varie di cui la mostra palermitana offre vari esempi: dal semplice disegno a matita su fogli di carta millimetrata a collage, a vetri colorati o supporti d’acciaio inossidabile sui quali, grazie a giochi di luce e di cambio di prospettiva si può avvertire la profondità del quadro o, come meglio ama esprimere Matilde Perez, la sua vita interiore.

Senza Titolo del 2010
Per meglio personalizzare il suo modo di fare arte cinetica, l’artista nell’astrattismo delle sue opere, ha inserito motivi decorativi precolombiani, perché, come ha dichiarato, malgrado avesse raggiunto Parigi, l’attaccamento alla sua terra era così forte che, per forza di cose, non poteva non essere influenzata dalle tradizioni e dalla cultura del suo amato Cile, nel quale ha fatto ritorno spesso, diventando prestissimo, uno degli artisti più esaltati e osannati.

Certamente, l’opera più significativa, che solo si intravede nella prima immagine del post, è la scultura mobile che raffigura un multicolore disco rotante, il quale meglio chiarisce il senso dell’arte cinetica di Matilde Perez: “el arte cinetico ha podido expresar que la vida es mas de lo que vemos, que existe una relatividad y que la vida esta en eso, en el movimento, porque existimos en el movimento no en lo que esta fijo”, ecco quanto l’artista ha dichiarato e che significa che, secondo lei, l’arte cinetica è capace di far capire che la vita non è quello che vediamo staticamente ma, in realtà, è, movimento, la sua essenza è movimento, sia interiore, a livello dell’anima che esteriore, anche se, apparentemente, non ne abbiamo percezione.

Ed ecco arrivare alla parte che il caro e amatissimo Gadrino amava dettarmi: le critiche. Vero è che la mostra sul costume, della quale ho già scritto, è stata inaugurata, cronologicamente prima ed è assai più ampia rispetto alla piccola mostra di Matilde Perez, alla sua Retrospettiva è stato assegnato lo spazio della ex-Cavallerizza, le cui due file di colonne sono sicuramente una gradevole eco del lussureggiante passato del palazzo, che reputo troppo anonimo e mal custodito… volendo usare un eufemismo! Nessuno controlla o vigila sulle opere che sono lasciate troppo a se stesse!

A disposizione del pubblico, c’è un catalogo… frutto del riciclo della precedente mostra a Parigi! È in spagnolo, francese e inglese ma non in italiano!

Effettivamente, la Sicilia, in quanto parte integrante del Mediterraneo meridionale, è molto facile che possa essere scambiata per un paese Africano, dove, ad esempio, il francese (causa colonizzazione) è parlato fluentemente…

Titolo: Matilde Perez. Retrospettiva
Da: 16 settembre a: 16 ottobre 2011
Orari: mar., mer., gio., dom. 9,30-19,30;
ven. e sab. 10-22
Ingresso gratuito

venerdì, settembre 23, 2011

Marisa Battaglia espone a Mondello

Per 7 giorni, da oggi, giovedì 23 settembre, a giovedì 29 settembre 2011, nell’ambito della rassegna “Un mare d’arte”, la pittrice palermitana, Marisa Battaglia, cui, nei giorni scorsi, ho dedicato un intero post (un presagio?), espone alcune delle sue tele in uno spazio tutto particolare ma azzeccatissimo: il lido balneare “L’ombelico del mondo”, sito in via Regina Elena a Mondello.

Il mare splendente e la sabbia finissima e i paesaggi marini, temi assai cari a Marisa Battaglia, dialogheranno in modo diretto e conturbante con le onde rifrangenti sulla sabbia riscaldata e dorata dagli ultimi accesi raggi di un Sole meno estivo ma, ancora, inebriante.

mercoledì, settembre 21, 2011

Uova di Uecker e uova di magia a confronto

Oggi dedicherò il mio post ad un vero e proprio volo pindarico che, in parole poverissime, equivale a scrivere che passerò di palo in frasca nel giro di poche righe… speranzoso di non annoiarvi! Ci riuscirò?

Il tema di oggi sono le uova. È vero, Pasqua è ancora lontana ma non ho intenzione di scrivere di uova di cioccolato o di uova fritte che, in certi paesi, si mangiano a colazione, bensì di uova come simbolo della tradizione umana e come oggetto d’arte.

Eccovene un esempio:

Essa è un’opera dell’artista e scultore contemporaneo tedesco Gunther Uecker. Come si può vedere, raffigura un grosso uovo (sì, un grosso uovo di gallina!) interamente ricoperto di… chiodi, la vera grande “passione” di Uecker!

Dopo gli impacchettamenti del bulgaro Christo, ho deciso di raggiungere la Germania Ovest dello “scultore-carpentiere” Uecker che, da tanti anni ormai, per la precisione dalla fine degli anni ‘50, ama follemente attaccare chiodi sulle cose.

Egli, insieme con altri due artisti alternativi come Max Peine e Heinz Mack, dando vita all Gruppo Zero, ha inaugurato un modo nuovo e informale di fare arte. Dopo aver studiato attentamente la luce, i colori dello spettro e i fenomeni ottici, tutti questi artisti hanno cercato, combinando materiali diversi, di manipolare la luce e le ombre per piegarle al proprio volere in modo da suggerire e suscitare in chi guarda l’idea del movimento o altre sensazioni più interiori, intangibili e spesso fugaci.

Mentre Peine ha prediletto i metalli, il vetro e le foto, Mack il fumo, il fuoco e i tubi riempiti di elio, Uecker ha preferito creare delle sculture cinetiche piantando chiodi.

Ed ecco tornare all’uovo, universalmente simbolo della nascita, in alcuni casi, della rinascita, ma, soprattutto della vita in potenza, racchiusa da un guscio fragilissimo ma, al tempo stesso, protettivo e duro.

L’uovo, quindi, già eternato da altri artisti come, ad esempio, Picasso, Duchamp e Modigliani, è il simbolo culturale dell’uomo, che, con i chiodi di Uecker, diventa un uomo martoriato e sofferente: se trasformassimo i chiodi in spine, immediato sarebbe pensare ai tormenti di Cristo in croce.

Osservate, adesso, questo disegno.
Ovu di la magaria
Notate la somiglianza tra questo uovo ricoperto di spilli e l’uovo di Uecker? È enorme!
Purtroppo posso riportare solo un’immagine disegnata da Giuseppe Pitrè nel Catalogo Illustrato della Mostra Etnografica Siciliana, tenutasi a Palermo nel biennio 1891-92. Esso rappresenta l’ovu di la magaria, un uovo di gallina sulla cui superficie sono infilzati ben 75 spilli e, in alto, un chiodo, cui è annodato un nastro rosso.

Secondo le credenze popolari siciliane, quest’uovo è una sorta di bambola vodu (o vudù) o dagida, preparato su commissione da una fattucchiera o maara in grado di infliggere gradi differenti di male a qualche malcapitato perseguitato dall’invidia.

L’uovo, secondo i principi della magia omeopatica, rappresenta l’individuo da colpire e gli spilli le armi atte a provocare dolore o sfortuna. L’applicazione del chiodo, in cima, sulla testa, equivale al colpo di grazia sullo sventurato. Il nastro rosso legato al chiodo serve ad evitare che la maga resti anch’ella vittima.

La rottura dell’uovo, infine, simboleggia la riuscita del maleficio, cui dovrebbe seguire la morte dello sventurato.

Chissà se Gunther Uecker è a conoscenza di questa credenza popolare? Io credo e spero di no…

lunedì, settembre 19, 2011

Ministoria di un frutto poco noto: le sorbe...o sorbole?

Chi ha mai sentito parlare delle sorbe? O di sorbole? Sapete cosa sono? Sono dei piccoli frutti rossi autunnali, simili a bacche o simili, quando la loro forma è allungata, a delle piccole pere. Il sapore? Bè, sono particolarmente acidule ma, se lasciate maturare, secondo alcuni, sotto la paglia, diventano abbastanza dolciastre.
L’albero che le produce è il Sorbus Domestica, albero originario dell’Europa Meridionale e assai diffuso dalla Spagna alla Crimea e dalla Crimea all’Asia Minore. Sporadicamente cresce in Italia, così come in Sicilia, noto come pedi di zorbi, seppure sia noto sin dall’Antichità.

Apicio, in particolare, nel De Re Coquinaria, probabilmente il più antico libro di ricette di cui si ha memoria, suggerisce la ricetta del piatto caldo e freddo di sorbe:

patina de sorbis salida et frigida: accipies sorba, purgas in mortario fricabis, per colum colabis. Cerebella enervabis 4 cocta, mittes in mortario piperis scripulos 8 suffudes liquamen, fricabis. Adicies sorba, in se contemperabis, franges ova 8 adicies cyathum liquaminis unum. Patinam mundam perunges et in thermospodio pones, et sic eam impensam mittes, ac subtus supra thermospodium calidam habeat. Cum cocta fuerit, piper minutum asparges et inferes.

Ecco la traduzione dal latino all’italiano:

Piatto caldo e freddo di sorbe: prendi delle sorbe, puliscile e pestale nel mortaio passandole al setaccio. Snerva 4 cervella già cotte, mettile nel mortaio con 8 grani di pepe, bagna di liquamen e pesta. Aggiungi le sorbe e amalgama, rompi 8 uova, aggiungendo una tazza di liquamen. Ungi una padella pulita e mettila sulla brace calda sopra e sotto. Quando sarà cotta cospargi di pepe tritato fine e servi.

Chissà come sarà stata… penso che non la cucinerò tanto presto, specialmente se penso che il liquamen era, grosso modo, una sorta di salsa di pesce, molto simile, in preparazione, al famoso garum.

Oltre ad essere mischiato con cervella, liquamen e pepe dai romani, le sorbe hanno trovato spazio in cucina soprattutto nell’ambito dolciario: con le sorbe si preparano le marmellate o il sidro.

Al di là dell’uso culinario, le sorbe sono assai apprezzate in ambito medico per le loro proprietà astringenti, diuretiche, detergenti, rinfrescanti, tonificanti e lenitive della pelle irritata.

Proprio sulle proprietà lenitive ri zorbi, ed, in particolare, delle sue foglie si è soffermato il notissimo demopsicologo palermitano Giuseppe Pitrè, a fine Ottocento: nel corso delle sue numerose ricerche sul campo ha scoperto che le foglie bollite di sorbo applicate sui geloni, u sangu attassatu, facilitano la guarigione della parte.

Piccola curiosità sull’albero: secondo le fonti medievali, realtive alle culture celto-germaniche, insime con la quercia, il frassino e il pino, anche al sorbo era associato un potere magico ed era considerato veicolo o ponte tra l’umano e il divino.

mercoledì, settembre 14, 2011

Christo and Jeanne-Claude in Palermo, Italy

You can visit the exhibition “Christo and Jeanne-Claude. Works in the Würth Collectionuntil the 8th of January 2012, in Duke of Montalto Hall, the Normans’ Palace, in Indipendenza Square, in Palermo.

It’s composed of photos, drawning and pictures of artistic projects, “sculptures” and very particular works of art, showing the style and the touch of the Noveau Realism, that, from the end of the 50s, after he met his future wife Jeanne-Claude, who helped always him in his works until her death, has get together various artists from very different countries, all joined in a common purpose: they wished to promote a new perceptible approach to reality and to take possession of the objects, from the most common and simple object to the monument or the urban park.

All the creations of Noveau Realism are assemblies, compressions, decollages, "trap-paintings", ironic and useless machines and… Christo’s wrappings!

Christo Javacheff, this Bulgarian painter, began painting and wrapping after he went to Paris, at the end of 50s, starting with oil barrels. Then he left Paris and went to New York and his activity became famous in the world.

What can you see in the exposition? You can see his preparatory drawnings and pictures of his future projects, some sculptures and photos. All of his works of art are wrapped.

Christo wraps a lot of objects: from road signs to trees, from horses to phones or chairs and tables until great public and very symbolic monuments, as the palace of Reichstag, that Christo wrapped after various attempts, after 30 years, for 14 days.

Perhaps Christo wishes to amaze and to attract or to guard or to take possession because it’s modern man’s typical attitude.

The exposition is really interesting but all the corollary is out.

Why?

1) the ticket is 3 € and you discover it when you are there;

2) you can visit the exhibition without any type of assistance.

Title: Christo and Jeanne Claude
Opening hours: Monday-Saturday 8,30-17
Sunday and public holidays 8,30-13
Ticket price: 3 €

For the Italian post click here

Vista per voi: Christo e Jeanne Claude a Palazzo dei Normanni

Sarà visitabile fino all’8 gennaio 2012 la mostra “Christo e Jeanne-Claude. Opere nella collezione Würth”, nella Sala Duca di Montalto, a Palazzo dei Normanni, in piazza Indipendenza, a Palermo.

Essa consiste di fotografie, dipinti e disegni di progetti, “sculture” e particolarissime opere d’arte, recanti il tocco e lo stile del Noveau Realism, che, a partire dalla fine degli anni ’50, ha riunito a Parigi artisti di varia nazionalità tutti legati da un denominatore comune: promuovere un nuovo approccio percettivo al reale e riappropriarsi dell’oggetto, dal più piccolo e insignificante, all’intero monumento o parco.

Assemblaggi, compressioni, decollages, quadri trappola, ironiche macchine inutili e…gli impacchettamenti di Christo (al secolo Christo Javacheff) sono tutte espressioni del Noveau Realism.

Il pittore bulgaro Christo, giunto a Parigi alla fine degli anni ’50, dopo aver incontrato la futura moglie Jeanne-Claude, che, fino alla sua scomparsa, ha sempre organizzato e collaborato alla realizzazione delle sue opere, ha cominciato la sua attività tanto estrosa e anticonvenzionale impacchettando barili di petrolio, per proseguirla nel resto del mondo, tentando di lasciare un tocco più o meno effimero della sua arte.

Cosa si vede nella mostra? Progetti sia disegnati che dipinti, “sculture” e foto delle sue opere impacchettate.

Christo ama impacchettare tutto quello che cade sotto il suo occhio: dai triangoli stradali agli alberi, dai cavalli ai telefoni o alle sedie e tavoli fino ad arrivare a monumenti simbolo come il Reichstag tedesco che, dopo un trentennio di tentativi, è riuscito a impacchettare per 14 giorni.

Impacchettare per meravigliare o custodire o per impossessarsi delle cose, come va tanto di moda in una società basata sull’accumulazione dei beni materiali.

La mostra è sicuramente interessante ma tutto il corollario fa acqua.

Ecco un elenco:

1) Il biglietto costa 3 € e nessun mezzo d’informazione finora l’ha pubblicizzato;

2) Le belle statuine all’ingresso della sala, mentre giri tra le opere, si fanno gli affaracci loro!


Titolo: Christo e Jeanne-Claude.
Da: 8 luglio 2011 a: 8 gennaio 2012
Orari: lun—sab. 8,30-17,40:
festivi e dom. 8,30-13
Costo biglietto: 3 €

Per leggere il post in inglese clicca qui.

lunedì, settembre 12, 2011

...e 3! Ancora sul mare.

Oggi ho deciso di dedicare un terzo ed ultimo post ad un tema assai caro per un isolano: il mare. Un mare che, tra pochi giorni, molti studenti potranno solo osservare sui libri, o magari sul mio blog.

Dopo aver scritto della mostra Mare Magnum, collettiva in corso al Loggiato S. Bartolomeo ed aver un po’ riflettuto sulle numerose tele che al mare Piero Guccione ha dedicato, vorrei brevemente scrivere di una giovane pittrice palermitana che ha reso il paesaggio marino il leit motiv della sua produzione: Marisa Battaglia.

Artista autodidatta, ha sempre amato disegnare e dipingere, soprattutto, ad olio. I suoi colori sono i tipici colori della sua terra, caldi e vivi: azzurro e blu intensi, rosso e giallo fiammante.

Nel tentativo di definire l’artista e la sua produzione, che sta riscuotendo un considerevole successo all’estero, come a Parigi o a Berlino, oserei considerarla una pittrice ecologista, dato il suo profondo amore per i paesaggi isolati e incontaminati e gli scorci puliti, o meglio, ripuliti dalla, spesso, ingombrante presenza dell’uomo.

Un altro aspetto della sua produzione, purtroppo, è difficile da rendere a parole e neanche osservando l’immagine che caratterizza il post odierno: bisognerebbe ammirare una sua tela dal vivo… per scoprire il realismo animato e animante delle sue opere e, per quanto riguarda le superfici marine, il senso di pace che pare inondare chi guarda.

venerdì, settembre 09, 2011

2. Le linee del mare

Tra cielo e terra di F. Menna
Dopo aver visitato la mostra “Mare Magnum”, mi sono soffermato a riflettere su “Tra terra e cielo” di Francesco Menna, allestita al terzo piano del Loggiato di S. Bartolomeo, quello dedicato all’arte contemporanea.

Come riporta l’immagine a lato, consta di 3 scale equidistanti di legno dipinto di blu, appoggiate a una parete bianca, sulle quali, simpaticamente, sono aggrappati, dal basso verso l’alto, scarafaggi, ragni e gechi mentre, più su, gruppi di uccellini colorati. Sulla parete, al di sopra delle scale spicca un aeroplanino bianco e nero, mentre, dietro le scale è visibile un lungo neon blu, che rappresenta un orizzonte fluorescente.

La linea dell’orizzonte mi ha colpito e costretto ad una sorta di riflessione artistico-letteraria, che, ritengo, non rientri nel novero delle intenzioni di Francesco Menna, che ha creato la sua opera ispirandosi al tema della biennale di Filicudi e che avrà creata sperando di suscitare ben altre reazioni invece che le mie.

Ho subito pensato alle linee e ai confini spesso impalpabili delle cose, come quelle del mare. Ho subito pensato al maldestro tentativo del signor Bartleboom, memorabile personaggio di “Oceano Mare” di Alessandro Baricco, di misurare dove finisce il mare così come dove finiscono tutte le altre cose della natura. L’ho immaginato molte volte passeggiare sulla battigia con un metro in mano intento a guardarsi le scarpe e le onde infrangersi convinto di riuscire a intercettare quella più rientrante sulla terraferma per immortalarla.

Il grigio della luna di P. Guccione

Scoprire dove finisce il mare al fine di tracciare la linea che divide la terra dal mare quando, invece, il confine che separa il mare e la terra è proprio come un Bartleboom che cammina, un confine portatile e, magari, un po’ capriccioso.

Ho pensato alle linee del mare e della terra che hanno caratterizzato una consistente parte della produzione del pittore di Scicli (Rg) Piero Guccione.

Negli anni ’70 quest’artista, noto soprattutto in contesto internazionale più che locale (sebbene io debba ammettere che, nel 2001, Palazzo Ziino ha ospitato una giganteggiante esposizione -grazie alla quale ho avuto modo di conoscere la sua arte- a lui dedicata), malgrado avesse lasciato da circa un ventennio la sua terra per trasferirsi prima a Roma e per iniziare a girare il globo, è tornato prepotentemente a dipingere gli scarni, piatti e brulli scenari, ridotti, però, all’essenziale, del paesaggio siciliano. Come Guccione ha ammesso, egli non aveva il minimo interesse per la componente descrittiva o pittoresca di una terra come la Sicilia, nella quale, ad esempio, molti viaggiatori e letterati hanno spesso trovato ispirazione, ricavandone enorme successo.

Cosa dipinge Guccione? Il pittorico, non il pittoresco. Questo pittorico si compone, di tele per intero azzurre, intere distese d’acqua di mare, con le sue realistiche piccole increspature in cui forse, a volte, si mescolano e confondono cielo e terra; dipinge linee quasi perfettamente geometriche che dividono la terra dal mare, grande filo conduttore, ma anche la terra dal cielo o la terra dalla terra.

Linee da lontano nettissime e quasi taglienti che, da vicino, restituiscono l’idea insita del movimento entropico di tutte le cose.

Il pittorico di Guccione sono, pure, i colori vivi e caldi: su tutto il blu con tutte le sue sfumature ma anche tutte le sue gradazioni di giallo.

Una sicilianità ridotta all’essenza, all’intimo ma, sicuramente, riconoscibilissima.



mercoledì, settembre 07, 2011

1. Dal Mare Nostrum al Mare Magnum

Un’ampia distesa d’acqua con l’illusione dell’infinità è stato, per secoli e millenni, il Mar Mediterraneo. Luogo, ma anche, nonluogo, un porto adatto agli incontri e scontri d’ogni tipo, ma anche il suo opposto, com’è normale che sia, un nonporto, solo una distesa d'acqua che scorre, nella sua infinita finitezza.

È stato il mare nostrum dei Romani, il loro luogo di identificazione ed è divenuto il mare magnum per i 17 artisti partecipanti a Mare Magnum, anteprima della “piccola Biennale” del Mediterraneo, la biennale di Filicudi, la più piccola e, forse, meno nota delle isole Eolie, che, da venerdì 2 settembre 2011 a domenica 2 ottobre 2011, è visitabile nelle sale del Loggiato di S. Bartolomeo, di via Vittorio Emanuele 25, a Palermo.

Secondo certi dizionari, l’espressione latina mare magnum, in uso a partire dal XVII secolo, significa gran confusione, caos ma, adeguata alla mostra, potrebbe essere reinterpretata come entropico continuo incontro tra artisti che, malgrado le differenze a livello microscopico d’età, nazionalità e formazione artistica, a livello macro, come quando s’osserva il mare uniforme da una posizione panoramica, paiono dialogare attraverso lo stesso umano linguaggio, quello dei simboli.

La mostra è articolata in 4 piani, ognuno legato ad un tema. Si parte col piano terra, dedicato alla località e tradizione popolare, che ospita un esiguo esempio di immagini in bianco e nero del celebre fotografo palermitano Melo Minnella; il primo piano è, invece, riservato a 5 disegni a inchiostro su carta, raffiguranti 5 volti, dell’architetto Emilio Battisti.

Memore la lingua lunga e, a volte, avvelenata, del mio caro amico Gad, devo ammettere che questa prima parte dell’esposizione sia quella più sottostimata e meno valorizzata.

Sculture di Maria Klemente
Gran trionfo e molte parole sarebbero da riservare ai piani terzo e quarto: il terzo piano è dedicato alla classicità e grecità, mista a modernità a tratti provocatoria, come evoca l’opera 305-Sine nomina herma di Francesco Pessina, raffigurante il busto stilizzato, di legno dipinto di rosso, di un uomo, sul quale, al posto della testa, è stato posato un fallo eretto. Suggestive sono le sculture di Maria Klemente, che, come ha raccontato il grazioso cicerone Viviana Donzelli, riutilizzano artisticamente resti di ancore o altri oggetti di ferro, ritrovati sui fondali al largo di Filicudi.

Il terzo piano è dedicato interamente alla contemporaneità, la più varia, multi materica e, soprattutto, multietnica.

Senza dubbio, una delle opere più significative è L’arbre de la vie dello scultore svizzero Jacques Basler, che da 35 anni scolpisce opere pregne di significato senza posa e senza nascondere che, in tutti questi anni, ha costruito tanto quanto la scultura l’ha costruito e forgiato fino all’intimo.

Unico di Eliana Maria Lorena
Nella simpatia e giocosità apparente ma, invero, assai comunicativa, spicca Unico di Eliana Maria Lorena, con le sue barbie mulatte in bacheca, indossanti abiti di varie culture mondiali, espressione dei diversi modi di sentire e vivere il corpo femminile perchè, come scriveva Marcel Mauss, il corpo coi suoi gesti e movenze sono tecniche culturalmente apprese.

Titolo: Mare magnum
Da: 2 settembre a: 2 ottobre
Orari: mar-sab 9,30-13 e 16-19.
Festivi: 9,30-13
Ingresso gratuito

domenica, settembre 04, 2011

Dalla Minzogna Saracina al Consiglio d'Egitto!

Copertina ritoccata dell'Edizione Einaudi de "Il Consiglio d'Egitto
Alla fine del post precedente, dedicato al museo del Risorgimento, ho accennato alla Minzogna Saracena, poesia dialettale, scritta a fine '700, da Giovanni Meli, il quale aveva tratto ispirazione da un evento di cronaca a lui contemporaneo, avvenuto tra la fine del 1782 e il 1783.
Eccone il testo:

Sta minzogna saracina
cu sta giubba mala misa
trova cui pri concubina
l’accarizza, adorna e spisa.
E cridennula di sangu,
come vanta, anticu e puru,
d’introdurla in ogni rangu
si fa pregiu non oscuru.

Da buon siciliano, per chi non avesse capito certe parole (sebbene somiglino al simil-siciliano di Camilleri), eccone una modesta parafrasi: questa menzogna araba, dopo aver indossato malamente la giubba, proprio come ci si incontra una cocubina, a tratti l’accarezza, a tratti la adorna riempiedola di regali; indossandola così a lungo al punto di crederla di carne e ossa, la menzogna ha deciso di introdurla in ogni ambiente sociale esaltandola ed elogiandone la sua antichità e purezza.

Attingendo alla minzogna e alle numerose fonti che, all’epoca, documentarono l’evento, nel 1963 Leonardo Sciascia ha pubblicato “Il Consiglio d’Egitto”, una versione romanzata della vicenda che risulta, anche, essere un’interessante opera di divulgazione, sebbene, per ammissione dell’autore, non sia stata concepita a tale scopo: ispirandosi al tema dei falsi e dei falsari d’ogni epoca, Sciascia ha voluto riscoprire gli intrighi dell’abate Vella e dell’avvocato Di Blasi per adeguare, trovando molte similarità con la situazione politica della sua epoca, alla realtà socio-politca della metà degli anni ’60.

Penso che Giuseppe Vella dovesse essere una personalità non comune: fracappellano gerosolimitano, nato e vissuto a Malta, ma molto siculo nel modo di comportarsi e di pensare poiché uomo dal grande ingegno. Si possono attribuire mille e uno difetti ai siciliani ma essi posseggono un grande pregio: l’intraprendenza nell’inventarsi un’arte per tirare a campare, vi pare vero? Per arrotondare, infatti, all'inizio del romanzo, lo incontriamo in una carnezzeria(macelleria!) del quartiere dell’Albergheria di Palermo intento a smorfiare un sogno del titolare, che vede protagonisti il carnezziere, il vicerè Caracciolo e…un porco che ride!
Mentre sta per concludere la smorfiatura del sogno, ecco giungere nella bottega a cercarlo un volante di quello che sarà il suo benefattore, monsignor Airoldi, intenzionato a proporgli l'incarico, per qualche giorno, di interprete dell’ambasciatore del Marocco, che ribattezzerà Muhammed ben Osman Mahgia, dato che nessuno a Palermo conosce un minimo d’arabo mentre il Vella, ne possiede un’infarinatura.

La frequentazione, insieme con l’ambasciatore, di ambienti altolocati della città, pieni di lussi ed agi e divertimenti, come il gioco del biribissi, spingeranno presto il Vella a meditare un’impostura che da una, più avanti nel libro, diventeranno addirittura due!
Di cosa si tratta? Visionando dei codici scritti in arabo, al Vella verrà l’idea di scambiare una vita del profeta Maometto per una storia della Sicilia, piena di rivelazioni, da tradurre dall’arabo.

Mentre, ottenuto il titolo d’abate, un ottimo nuovo alloggio e un’adeguata posizione in società, traduce il codice, tutt’intorno si respira profondamente l’atmosfera dell’epoca: le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà iniziano a raggiungere la Sicilia dalla Francia, con buona presa su figure come il giovane avvocato Giovanni Di Blasi o sul paglietta, vale a dire il Vicerè Caracciolo, odiatissimo dai tanti nobili che comparsano sulla scena perché intenzionato ad abolire molti dei loro inattaccabili privilegi feudali…

Il romanzo è un ritratto d’un epoca, coi suoi lati sia positivi, perché è possibile ricostruire, ad esempio, come si svolgeva la giornata tipo di un marchese dell’epoca e quali posti, della  città di Palermo, amava frequentare, e coi suoi lati negativi, specialmente quando ci si macchiava di reati gravi e bisognava pagarne le conseguenze in carcere, perché, com’è ovvio immaginare, l’impostura, alla fine, è scoperta…

È un libro che consiglio calorosamente.