domenica, settembre 04, 2011

Dalla Minzogna Saracina al Consiglio d'Egitto!

Copertina ritoccata dell'Edizione Einaudi de "Il Consiglio d'Egitto
Alla fine del post precedente, dedicato al museo del Risorgimento, ho accennato alla Minzogna Saracena, poesia dialettale, scritta a fine '700, da Giovanni Meli, il quale aveva tratto ispirazione da un evento di cronaca a lui contemporaneo, avvenuto tra la fine del 1782 e il 1783.
Eccone il testo:

Sta minzogna saracina
cu sta giubba mala misa
trova cui pri concubina
l’accarizza, adorna e spisa.
E cridennula di sangu,
come vanta, anticu e puru,
d’introdurla in ogni rangu
si fa pregiu non oscuru.

Da buon siciliano, per chi non avesse capito certe parole (sebbene somiglino al simil-siciliano di Camilleri), eccone una modesta parafrasi: questa menzogna araba, dopo aver indossato malamente la giubba, proprio come ci si incontra una cocubina, a tratti l’accarezza, a tratti la adorna riempiedola di regali; indossandola così a lungo al punto di crederla di carne e ossa, la menzogna ha deciso di introdurla in ogni ambiente sociale esaltandola ed elogiandone la sua antichità e purezza.

Attingendo alla minzogna e alle numerose fonti che, all’epoca, documentarono l’evento, nel 1963 Leonardo Sciascia ha pubblicato “Il Consiglio d’Egitto”, una versione romanzata della vicenda che risulta, anche, essere un’interessante opera di divulgazione, sebbene, per ammissione dell’autore, non sia stata concepita a tale scopo: ispirandosi al tema dei falsi e dei falsari d’ogni epoca, Sciascia ha voluto riscoprire gli intrighi dell’abate Vella e dell’avvocato Di Blasi per adeguare, trovando molte similarità con la situazione politica della sua epoca, alla realtà socio-politca della metà degli anni ’60.

Penso che Giuseppe Vella dovesse essere una personalità non comune: fracappellano gerosolimitano, nato e vissuto a Malta, ma molto siculo nel modo di comportarsi e di pensare poiché uomo dal grande ingegno. Si possono attribuire mille e uno difetti ai siciliani ma essi posseggono un grande pregio: l’intraprendenza nell’inventarsi un’arte per tirare a campare, vi pare vero? Per arrotondare, infatti, all'inizio del romanzo, lo incontriamo in una carnezzeria(macelleria!) del quartiere dell’Albergheria di Palermo intento a smorfiare un sogno del titolare, che vede protagonisti il carnezziere, il vicerè Caracciolo e…un porco che ride!
Mentre sta per concludere la smorfiatura del sogno, ecco giungere nella bottega a cercarlo un volante di quello che sarà il suo benefattore, monsignor Airoldi, intenzionato a proporgli l'incarico, per qualche giorno, di interprete dell’ambasciatore del Marocco, che ribattezzerà Muhammed ben Osman Mahgia, dato che nessuno a Palermo conosce un minimo d’arabo mentre il Vella, ne possiede un’infarinatura.

La frequentazione, insieme con l’ambasciatore, di ambienti altolocati della città, pieni di lussi ed agi e divertimenti, come il gioco del biribissi, spingeranno presto il Vella a meditare un’impostura che da una, più avanti nel libro, diventeranno addirittura due!
Di cosa si tratta? Visionando dei codici scritti in arabo, al Vella verrà l’idea di scambiare una vita del profeta Maometto per una storia della Sicilia, piena di rivelazioni, da tradurre dall’arabo.

Mentre, ottenuto il titolo d’abate, un ottimo nuovo alloggio e un’adeguata posizione in società, traduce il codice, tutt’intorno si respira profondamente l’atmosfera dell’epoca: le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà iniziano a raggiungere la Sicilia dalla Francia, con buona presa su figure come il giovane avvocato Giovanni Di Blasi o sul paglietta, vale a dire il Vicerè Caracciolo, odiatissimo dai tanti nobili che comparsano sulla scena perché intenzionato ad abolire molti dei loro inattaccabili privilegi feudali…

Il romanzo è un ritratto d’un epoca, coi suoi lati sia positivi, perché è possibile ricostruire, ad esempio, come si svolgeva la giornata tipo di un marchese dell’epoca e quali posti, della  città di Palermo, amava frequentare, e coi suoi lati negativi, specialmente quando ci si macchiava di reati gravi e bisognava pagarne le conseguenze in carcere, perché, com’è ovvio immaginare, l’impostura, alla fine, è scoperta…

È un libro che consiglio calorosamente.



Nessun commento:

Posta un commento