venerdì, settembre 09, 2011

2. Le linee del mare

Tra cielo e terra di F. Menna
Dopo aver visitato la mostra “Mare Magnum”, mi sono soffermato a riflettere su “Tra terra e cielo” di Francesco Menna, allestita al terzo piano del Loggiato di S. Bartolomeo, quello dedicato all’arte contemporanea.

Come riporta l’immagine a lato, consta di 3 scale equidistanti di legno dipinto di blu, appoggiate a una parete bianca, sulle quali, simpaticamente, sono aggrappati, dal basso verso l’alto, scarafaggi, ragni e gechi mentre, più su, gruppi di uccellini colorati. Sulla parete, al di sopra delle scale spicca un aeroplanino bianco e nero, mentre, dietro le scale è visibile un lungo neon blu, che rappresenta un orizzonte fluorescente.

La linea dell’orizzonte mi ha colpito e costretto ad una sorta di riflessione artistico-letteraria, che, ritengo, non rientri nel novero delle intenzioni di Francesco Menna, che ha creato la sua opera ispirandosi al tema della biennale di Filicudi e che avrà creata sperando di suscitare ben altre reazioni invece che le mie.

Ho subito pensato alle linee e ai confini spesso impalpabili delle cose, come quelle del mare. Ho subito pensato al maldestro tentativo del signor Bartleboom, memorabile personaggio di “Oceano Mare” di Alessandro Baricco, di misurare dove finisce il mare così come dove finiscono tutte le altre cose della natura. L’ho immaginato molte volte passeggiare sulla battigia con un metro in mano intento a guardarsi le scarpe e le onde infrangersi convinto di riuscire a intercettare quella più rientrante sulla terraferma per immortalarla.

Il grigio della luna di P. Guccione

Scoprire dove finisce il mare al fine di tracciare la linea che divide la terra dal mare quando, invece, il confine che separa il mare e la terra è proprio come un Bartleboom che cammina, un confine portatile e, magari, un po’ capriccioso.

Ho pensato alle linee del mare e della terra che hanno caratterizzato una consistente parte della produzione del pittore di Scicli (Rg) Piero Guccione.

Negli anni ’70 quest’artista, noto soprattutto in contesto internazionale più che locale (sebbene io debba ammettere che, nel 2001, Palazzo Ziino ha ospitato una giganteggiante esposizione -grazie alla quale ho avuto modo di conoscere la sua arte- a lui dedicata), malgrado avesse lasciato da circa un ventennio la sua terra per trasferirsi prima a Roma e per iniziare a girare il globo, è tornato prepotentemente a dipingere gli scarni, piatti e brulli scenari, ridotti, però, all’essenziale, del paesaggio siciliano. Come Guccione ha ammesso, egli non aveva il minimo interesse per la componente descrittiva o pittoresca di una terra come la Sicilia, nella quale, ad esempio, molti viaggiatori e letterati hanno spesso trovato ispirazione, ricavandone enorme successo.

Cosa dipinge Guccione? Il pittorico, non il pittoresco. Questo pittorico si compone, di tele per intero azzurre, intere distese d’acqua di mare, con le sue realistiche piccole increspature in cui forse, a volte, si mescolano e confondono cielo e terra; dipinge linee quasi perfettamente geometriche che dividono la terra dal mare, grande filo conduttore, ma anche la terra dal cielo o la terra dalla terra.

Linee da lontano nettissime e quasi taglienti che, da vicino, restituiscono l’idea insita del movimento entropico di tutte le cose.

Il pittorico di Guccione sono, pure, i colori vivi e caldi: su tutto il blu con tutte le sue sfumature ma anche tutte le sue gradazioni di giallo.

Una sicilianità ridotta all’essenza, all’intimo ma, sicuramente, riconoscibilissima.



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