lunedì, ottobre 17, 2011

La giara e la donna

Ricordate quando ho scritto la mia recensione libera del film “Kaos” dei fratelli Taviani? E ricordate che, pochi giorni dopo ho dedicato un post al corvo di Mizzaro (…e non solo) di Luigi Pirandello?

Che lo ricordiate o meno, sono affari vostri e del vostro medico (un principio di arteriosclerosi, no?), quel che conta adesso è che colleghiate questo nuovo testo ai precedenti, dato che ho intenzione di scrivere de “La giara” di Pirandello…e non solo!

Penso proprio che “La giara” sia la novella più famosa dello scrittore agrigentino, non trovate? Essa racconta la disavventura del burbero don Lollò Zirafa con il furbo consalimmaru o conciabrocche Zi’ Dima Licasi.

Per certi aspetti, don Lollò somiglia al Mazzarò Verghiano: entrambi ricchi proprietari terrieri ma terribilmente avari e soli, perché non si sono né sposati né hanno avuto figli.

Don Lollò, in particolare, ama far sfoggio delle sue ricchezze in modo spropositato, attirando, come una calamita, tutte le invidie da parte dei suoi poveri compaesani.

Il racconto inizia mentre è in corso la raccolta delle olive, grossomodo in questo periodo dell’anno: l’annata è così abbondante che don Lollò ha acquistato una giara nuova, per contenere l’olio in esubero.

Il giorno dopo avere pubblicamente esposto quest’enorme e tondeggiante brocca, don Lollò trova la giara rotta! Nel pieno della sua disperazione, accorre ad aiutarlo Zi’Dima, che ha ideato un mastice miracoloso in grado di lesionarla.

Don Lollò chiede al conciabrocche non solo di incollare la giara, ma di rinforzarla col fil di ferro. Come ben si sa, Zi’ Dima, costretto a cucire col fil di ferro la giara dall’interno, terminato il lavoro, resta intrappolato!

Vi lascio solo immaginare quello che accade dopo…:)

La mia riflessione di oggi è tutta rivolta alla giara ed alla metafora, che sin dall’antichità, essa, letteralmente, incarna.

A partire dall’età neolitica, oltre ad inventare l’agricoltura, l’uomo ha anche inventato l’arte di modellare l’argilla per creare dei recipienti, come, ad esempio, dei vasi, per contenere liquidi o i prodotti della terra.

Modellare la terra fu sin da subito un’attività femminile diffusa al punto che, nel corso dei secoli, per rafforzare l’associazione tra le ceramiche e la donna, i vasi divennero simbolo stesso sia dell’uomo che, in particolare, della donna.

La cultura centro-europea di Baden, ci ha, ad esempio, lasciato dei vasi, databili tra il VI e il III millennio a.C., con gli occhi, il naso e, nel caso dei vasi a forma di donna, i seni!

I vasi della cultura di Baden
E proprio i mastoi sulla superficie di certi oinochoe dell’Antica Grecia mostrano come fosse radicata nell’Ellade la metafora del vaso-donna.

Non bisogna stupirsi che, secondo certe interpretazioni, la giara di Pirandello simboleggi non solo semplicemente una donna, ma il corpo della madre, o forse, metonimicamente, il suo nero utero, entro il quale Zi’Dima è rimasto intrappolato e dal quale, alla fine della novella, esce…Zi’Dima, uscendo dalla giara, rinasce.

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