domenica, ottobre 30, 2011

Festa dei Morti o Halloween? A voi la scelta!

Com’è già successo nelle scorse settimane, anche oggi intraprendo l’ennesimo volo pindarico (cui, spero, siate abituati!), partendo dal Guatemala, passando per la Gran Bretagna e l’Italia, facendo, poi, un breve scalo nell’America del Nord, per, infine, ritornare a Palermo.

Perché inizio dal Guatemala? Perché, in questi giorni, ho cominciato a leggere “Io mi chiamo Rigoberta Menchù”, un’intervista all’allora giovane contadina quiche (una minoranza etnica del Paese), premio Nobel per la pace nel 1992, raccolta e pubblicata, agli inizi degli anni ’80, dall’antropologa sudamericana Elizabeth Brugos.

Questo monologo-testimonianza narra la storia, spesso drammatica, della vita della contadina-combattente Rigoberta Menchù, con - entusiasticamente per uno studioso di tradizioni - moltissime notizie sui riti e sui costumi della sua cultura.

Quel che affascina di questo personaggio è il suo atteggiamento nei confronti delle culture tradizionali: ella continua ad indossare gli abiti della tradizione da lei tessuti con enorme fierezza, pur conscia del fatto che la perdurante chiusura che il suo popolo, il popolo quiche, ha sempre mostrato nei confronti dei latinoamericani abbia prodotto solo povertà e abbia invogliato quest’ultimi ad opprimere e perseguitare il suo stesso popolo.

Rigoberta, aderendo al movimento contadino di lotta contro i ladinos, ha lanciato questo messaggio al suo popolo e a tutti quei popoli che, per secoli, in difesa delle trasmissione di generazione in generazione della propria cultura, rifiutano aprioristicamente qualsiasi novità proveniente dall’esterno: se la chiusura al mondo produce oppressione, violenze e morte, è bene accogliere, con criterio, tutte quelle innovazioni culturali che possano contribuire alla preservazione della propria realtà etnica.

Del resto, io ho sempre sostenuto che le culture sono come degli organismi vivi, che crescono e fanno continuamente esperienza del mondo che sta loro intorno: se il contatto con un’alterità produce uno scambio che non modifica l’equilibrio (= salute) di tale organismo, esso è tenuto ad assimilarlo e a farlo suo. L’acculturazione oculata non necessariamente comporta il totale rifiuto o annientamento di quello che si è stati ma può produrre crescita e “progresso” (proprio della natura dell’uomo).

E veniamo alla tanto spesso contestata festa di Halloween, che, da alcuni anni, tenta di “minacciare” la scomparsa di una festa tanto radicata in Sicilia, la festa dei morti.

Halloween è il nome popolare di All Hallows Eve o All Hallows Even (o Evening) che, in italiano, si traduce vigilia o sera di Ognissanti. Halloween è una festa, in origine, celtica, che, come si evince dal nome, risente dell’acculturazione cristiana, fortissima nel Medioevo.

Andiamo alle origini. Tale celebrazione, agli albori, era la festa celtica di Lâ Samhna, letteralmente «giorno di Samain», che cadeva il 1° Novembre e che contrassegnava la fine dell’estate, un momento molto particolare dell’anno per quei popoli la cui economia era di tipo agro-pastorale: dopo la semina, i contadini, apparentemente, interrompevano le loro attività nei campi, in attesa che i semi facessero presa sotto terra, per prepararsi a germogliare. Questo momento dell’anno è ed era identico per tutte le altre culture euro-mediterranee basate su economie agro-pastorali.

I festeggiamenti, organizzati tra la fine di ottobre e i primi di novembre, erano, quindi, molto sentiti dalle comunità agricole perché, se i semi avessero ben attecchito nel terreno e le condizioni atmosferiche avessero tenuto, l’annata agraria sarebbe stata ottima e avrebbe alimentato un’intera comunità di persone.

Al di là dei nomi che la festa ha assunto nei secoli e delle terre in cui si è diffusa (secondo alcune fonti, dalla fine del V secolo molti discendenti dei Celti, dall’Irlanda, raggiunsero l’arco alpino e padano, portandosi dietro le loro tradizioni), quella che, poi, dal 600 d. C. è divenuta una festa cristiana ha mantenuto, nei secoli, sempre le stesse forme rituali: ricordo e commemorazione dei defunti, consumo di particolari cibi come frutta secca, dolci tipici che, a Palermo, si chiamano Ossa ri morti o Pupa a cena, questue di bambini, cui il 2 novembre, i “morti” portano in dono dei giocattoli.

Domani, molti bambini palermitani festeggeranno Halloween, travestiti come a Carnevale, busseranno ai vicini recitando “dolcetto o scherzetto?” mentre i ragazzi più grandi, di sera, andranno alle feste, magari in discoteca, tutti agghindati con finte zucche intagliate e dai volti spaventosi… sapete che i primi irlandesi, anziché le zucche, andavano in giro per le questue con delle rape intagliate?

Queste lanterne erano chiamate Jack O'Lantern, dal nome del protagonista di una leggenda irlandese, Jack, che, alla sua morte, poiché non aveva trovato posto né all'Inferno né in Paradiso, era stato condannato a errare in eterno sulla terra, illuminandosi la strada con un tizzone inserito in una rapa incavata, che poi è diventata una zucca...piena di semi, simbolo sia di morte che di rinascita!

Analogamente, nelle credenze popolari siciliane, i “morti” non sono altro che anime di trapassati che tornano, eccezionalmente, a far visita ai loro vivi, che li accolgono con tavolate ben imbandite, visite con mazzi di fiori al cimitero anche se non a titolo gratuito, è chiaro! Perché? Perché i cadaveri dei defunti sono sottoterra e sottoterra ci sono i semi, che, come ho sopra citato, sono parte integrante delle tavolate dei morti: castagne, noci, noccioline, il cosiddetto scacciu (che, in genere, include pure i semi di zucca seccati, no?); ad esse si aggiungono dolcetti che ricordano metonimicamente i morti che raffigurerebbero le loro ossa (come i costumi da scheletro!), ossa ri morti e, ancora di più, a pupa a cena, statuette di zucchero che, almeno in origine, riproducevano esclusivamente immagini di persone in miniatura…da mangiare, proprio come accade nel corso di un sacrificio, nel quale la vittima immolata è spartita tra i presenti e consumata, per acquisirne la sua forza, la sua energia vitale.

Il gusto per l’esagerata vistosità della festa di Halloween non è giunta, in Italia, direttamente dall’Irlanda ma solo qualche secolo dopo lo sbarco degli irlandesi in America, quando la carestia in patria li spinse a cercar fortuna nel Nuovo Mondo.

Oggi il dibattito tra i detrattori di Halloween e i sostenitori della sua diffusione in Italia è vivo e insoluto. Come avete letto, i punti comuni tra Halloween e la Festa dei Morti sono tantissimi e non a caso. Io sono per le aperture alle alterità, ma aperture intelligenti, che, quindi, prima d’essere accolte, siano spiegate alle masse, che, in genere, si lasciano trascinare per moda o solo perché “così fan tutti”.

Buona festa (qualsiasi essa sia) a tutti!

giovedì, ottobre 27, 2011

La Collezione Basile ad Architettura

Il prossimo weekend, quello del 29 e 30 ottobre, ricorrerà l’ultimo appuntamento del 2011 con “Le vie dei tesori”, occasione per visitare gratuitamente e con il supporto di una guida 13 siti dell’Università degli Studi di Palermo.

S. Giovanni degli Eremiti (Palermo)

La novità di quest’anno è stata la visita alla Collezione Basile, al primo piano della Facoltà di Architettura, in viale delle Scienze.

Essa è costituita di 34 grosse tavole, con l’ausilio delle quali il Prof. Giovan Battista Basile insegnava ai suoi studenti. In realtà, a realizzarle è stato uno dei suoi migliori studenti, Michelangelo Giarrizzo, il quale ha disegnato con minuzie di particolari spaccati di edifici, scorci di monumenti celebri, sia di Palermo che d’altre zone d’Europa (si ammiri l’Acropoli di Atene qui sotto).


Singolare la tecnica realizzativa: su supporti di legno d’abete, Giarrizzo collocò prima uno o due strati di tela grezza, poi del gesso diluito con colla e bianco di titanio; successivamente con pigmento nero disegnò le sue affascinanti opere d’arte.

Perché ho lasciato per ultimo questo post? Ve lo scrivo subito, purtroppo!

Alcune di queste tavole sono mal conservate al pari proprio con CHI vi scorterà (mi vien da ridere!) lungo il percorso: una guida assolutamente inadeguata, che sembra precipitata ad Architettura non si sa da dove!


Nel caso andiate a visitarla, vi consiglio di dare poco peso alle parole della guida, che non aggiungerà proprio nulla a quanto vedrete con i vostri occhi.

mercoledì, ottobre 26, 2011

Conoscete la LILT?

Con questo post colgo al volo l’invito di un’amica a far conoscere la LILT, acronimo della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, che, da circa 30 anni, opera sul suolo palermitano.


Questa associazione di volontari, inclusi tanti medici, svolge numerose attività, elencate nel volantino sotto:


Per ulteriori informazioni, oltre che chiamare i numeri di rete fissa in esso riportati, chiamare anche il numero di cellulare 393758436.

domenica, ottobre 23, 2011

Il Museo Storico dei Motori e dei Meccanismi della Facoltà di Ingegneria di Palermo


Aperto nel febbraio di quest’anno, tra i tesori dell’Università di Palermo è, nell’ambito de “Le vie dei tesori”, è visitabile il Museo Storico dei Motori e dei Meccanismi, all’interno della cittadella di Viale delle Scienze, al piano terra del Dipartimento di Ingegneria Meccanica, presso l’Edificio 8.
Una turbina Pelton

Questo museo custodisce una grande serie di motori di varia epoca e foggia. Moltissimi sono i motori di automobili, sia a benzina che a diesel, i più antichi dei quali risalgono ai primi anni ’20 del secolo scorso.

Motore Boxer
Assai preziosi sono i motori degli aerei tedeschi, incluse alcune eliche di legno, risalenti alla prima guerra mondiale, cui si aggiungono motori di navi, una grande macchina a vapore di una ex fabbrica tessile palermitana.

In ultimo, all’interno del museo, molto interessante è la cosiddetta stanza didattica, contenente le riproduzione di macchinari e meccanismi utili all’apprendimento degli aspiranti ingegneri della Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri, di metà ‘800, prima che diventasse la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo.

sabato, ottobre 22, 2011

Gli eventi del 22 e 23 ottobre nell'ambito de "Le vie dei tesori"

Quello di oggi, sabato 22 e domenica 23 ottobre 2011, sarà il penultimo weekend della rassegna “Le vie dei tesori”, che, come avrete letto, ha occupato tanto spazio su Panormitania.
Oggi mi preme ricordarvi, al di là del fatto che dalle 10 alle 18 di entrambi i giorni saranno visitabili gratuitamente i siti, elencati in un post precedente, dell’Università di Palermo, che 2 differenti luoghi ospiteranno 3 eventi d’eccezione:

1) Oggi 22 ottobre alle 18, presso il Carcere dei Penitenziati, l’esimio storico Alessandro Barbero, ispirandosi ad uno dei graffiti realizzato sulla parete di una cella, parlerà della Battaglia di Lepanto, la famosa battaglia navale del 7 ottobre del 1571, che vide prevalere la fortissime potenze europee, alleatesi in difesa della Cristianità, sulle navi turche, emblema dell’Islam.

Il graffito che raffigura la battaglia di Lepanto
Lo storico non si limiterà a un racconto sterile dell’evento ma riuscirà a far trapelare il clima di concitazione, anche di paura e speranza che pervase i suoi protagonisti sul campo, o per meglio, scrivere, sul mare, tutto frutto di un intenso lavoro di ricerca a tavolino, confluito nella pubblicazione, nel 2010, del saggio “Lepanto. La battaglia dei tre imperi”.

2) Domani 23 Ottobre alle 18, Ancora una volta, il Carcere dei Penitenziati, il vignettista del Corriere della Sera Vincino, “nome d’arte” di Vincenzo Gallo, insieme con i due giornalisti Daniele Billitteri e Mario Pintagro, parlerà del Male, rivista di satira nata nel 1977 e pubblicata fino al 1982, anno della sua chiusura, che, però, è stata rifondata col titolo Il Nuovo Male, il cui primo numero è uscito il 7 ottobre scorso. I 3 discuteranno, tra il serio e il faceto, sul rapporto della satira con la realtà e su quanto oggigiorno, ispirandosi a fatti di cronaca e di politica, la prima riesca a superare la seconda.

3) Domani 23 Ottobre alle 18, come ho già ricordato in un altro post, al Convento di S. Antonino, l’erede della famiglia Lanza, Fabrizia, nell’incontro intitolato “Il rito del pane”, parlerà della cucina (e dei suoi segreti) dei monsù, i cuochi francesi al servizio nelle corti degli aristocratici siciliani.

lunedì, ottobre 17, 2011

La giara e la donna

Ricordate quando ho scritto la mia recensione libera del film “Kaos” dei fratelli Taviani? E ricordate che, pochi giorni dopo ho dedicato un post al corvo di Mizzaro (…e non solo) di Luigi Pirandello?

Che lo ricordiate o meno, sono affari vostri e del vostro medico (un principio di arteriosclerosi, no?), quel che conta adesso è che colleghiate questo nuovo testo ai precedenti, dato che ho intenzione di scrivere de “La giara” di Pirandello…e non solo!

Penso proprio che “La giara” sia la novella più famosa dello scrittore agrigentino, non trovate? Essa racconta la disavventura del burbero don Lollò Zirafa con il furbo consalimmaru o conciabrocche Zi’ Dima Licasi.

Per certi aspetti, don Lollò somiglia al Mazzarò Verghiano: entrambi ricchi proprietari terrieri ma terribilmente avari e soli, perché non si sono né sposati né hanno avuto figli.

Don Lollò, in particolare, ama far sfoggio delle sue ricchezze in modo spropositato, attirando, come una calamita, tutte le invidie da parte dei suoi poveri compaesani.

Il racconto inizia mentre è in corso la raccolta delle olive, grossomodo in questo periodo dell’anno: l’annata è così abbondante che don Lollò ha acquistato una giara nuova, per contenere l’olio in esubero.

Il giorno dopo avere pubblicamente esposto quest’enorme e tondeggiante brocca, don Lollò trova la giara rotta! Nel pieno della sua disperazione, accorre ad aiutarlo Zi’Dima, che ha ideato un mastice miracoloso in grado di lesionarla.

Don Lollò chiede al conciabrocche non solo di incollare la giara, ma di rinforzarla col fil di ferro. Come ben si sa, Zi’ Dima, costretto a cucire col fil di ferro la giara dall’interno, terminato il lavoro, resta intrappolato!

Vi lascio solo immaginare quello che accade dopo…:)

La mia riflessione di oggi è tutta rivolta alla giara ed alla metafora, che sin dall’antichità, essa, letteralmente, incarna.

A partire dall’età neolitica, oltre ad inventare l’agricoltura, l’uomo ha anche inventato l’arte di modellare l’argilla per creare dei recipienti, come, ad esempio, dei vasi, per contenere liquidi o i prodotti della terra.

Modellare la terra fu sin da subito un’attività femminile diffusa al punto che, nel corso dei secoli, per rafforzare l’associazione tra le ceramiche e la donna, i vasi divennero simbolo stesso sia dell’uomo che, in particolare, della donna.

La cultura centro-europea di Baden, ci ha, ad esempio, lasciato dei vasi, databili tra il VI e il III millennio a.C., con gli occhi, il naso e, nel caso dei vasi a forma di donna, i seni!

I vasi della cultura di Baden
E proprio i mastoi sulla superficie di certi oinochoe dell’Antica Grecia mostrano come fosse radicata nell’Ellade la metafora del vaso-donna.

Non bisogna stupirsi che, secondo certe interpretazioni, la giara di Pirandello simboleggi non solo semplicemente una donna, ma il corpo della madre, o forse, metonimicamente, il suo nero utero, entro il quale Zi’Dima è rimasto intrappolato e dal quale, alla fine della novella, esce…Zi’Dima, uscendo dalla giara, rinasce.

venerdì, ottobre 14, 2011

A proposito di...il Museo Geologico Gemellaro

Un altro interessante sito visitabile nell’ambito de “La via dei tesori” è il Museo Geologico Gemellaro.


Il fossile di una libellula

Ripartito su tre piani, esso espone una vasta gamma di reperti risalenti a vari momenti della lunga preistoria siciliana: moltissimi i fossili, sia animali che vegetali ma anche antichi sismi cristalli di zolfo, di salgemma e di gesso. A proposito del gesso, unico ritrovamento al mondo è un cristallo di gesso al cui interno è intrappolata una goccia d’acqua del nascente mare Mediterraneo!

Altro singolare reperto è la famosa Thea, il più antico esemplare donna della specie Homo sapiens, risalente al Paleolitico Superiore e ritrovato in Sicilia negli anni ’40 del ‘900.


I resti dello scheletro di Thea
Secondo alcune ipotesi, dopo avere analizzato il buono stato di conservazione della sua dentatura, Thea sarebbe dovuta essere una sorta di capo tribale, cui è stato tributato un funerale da…star! Potremmo, quindi, ritenere che le prime comunità siciliane fossero di tipo matriarcale? Chissà! Anche se è vero che le dee hanno sempre, nella storia più antica della Sicilia, goduto di un posto di rilievo nel pantheon divino.

Ultimo piano del museo è riservato alle ricostruzioni degli scheletri di antichi animali come l’elefante nano, una grossa tartaruga, un enorme criceto, alcuni dei quali hanno convissuto con i sapiens.


La ricostruzione dello scheletro di un criceto gigante
 
Consiglio la visita del Museo Gemellaro alle famigliole, soprattutto perché i ragazzi del Servizio Civile paiono molto preparati e molto disponibili, specialmente nel fornire spiegazioni anche ai più piccoli.

Qualora non abbiate letto il mio post dedicato alla rassegna, vi ricordo che questo museo, come altri siti dell’Università di Palermo, sarà visitabile per i restanti 3 week end di ottobre, vale a dire il sabato e la domenica, dalle 10 alle 18, gratuitamente.


giovedì, ottobre 13, 2011

Le voci del Mediterraneo all'Arsenale

Fino al 10 gennaio 2011, l’Arsenale di Palermo, di via Arsenale 134, ospiterà “Le voci del Mediterraneo”, una “mostra” nel senso meno consueto del termine.


Che vuol dire? Come evoca il titolo, consiste in una svariata sequenza di brevi filmati e di suoni umani, appartenenti al quotidiano delle varie culture che si affacciano al Mare Mediterraneo, al Mare Nostrum degli antichi Romani. Dalla Spagna all’Italia, dall’Egitto al Marocco, ogni lingua diviene protagonista, anche se estrapolata dai contesti più futili e quotidiani: dagli urli e voci del mercato, alle grida dei bambini in gioco fino ad arrivare ai canti della sfera del sacro o del profano.

Sebbene lo spazio espositivo sia limitato, non mancano poi le occasioni interattive: ci sono spazi nei quali è possibile urlare su dei microfoni per misurarne l’intensità o in cui ascoltare isolatamente singoli pezzi registrati da vari etnomusicologi nei più piccoli e spesso sperduti paesi che si affacciano nel Mediterraneo.

E arriviamo presto alle pecche. La mostra è aperta nei soli orari mattutini, precisamente dalle 9,30 alle 12,30, orari che, a parte le scolaresche e sparuti turisti, sono disertati dalle coltissime folle panormitane!

Quando sono arrivato all’Arsenale, infatti, pensavo fosse chiuso perché i portoni erano sbarrati…dopo qualche istante l’addetto all’ingresso si è avvicinato e ha aperto scortandomi nella sala espositiva: credo d’essere stato l’unico visitatore di quel giorno!

Se sommiamo a ciò la scarsa pubblicità, ecco spiegata la scarsa affluenza.

Relativamente alla mostra, ho deciso di scegliere 2 aggettivi per valutarla: caotica ma, nella sua particolarità, originale. Un appassionato di folklore si sentirebbe come un pesce nell’acqua del mare…Mediterraneo!

Titolo: Le voci del Mediterraneo
Da: 30 settembre 2010 a: 10 gennaio 2011
Orari: da martedì a domenica 9, 30-12,30
Ingresso gratuito
Info: 091361309

lunedì, ottobre 10, 2011

Poco conosciuto e poco valorizzato: il Museo di Radiologia di Palermo

Tra i tesori visitabili per tutto i restanti week end di ottobre 2011, in occasione della più volte ricordata rassegna Le vie dei tesori, all’interno del Policlinico di Palermo, sorge il Museo della Radiologia.


Inaugurato nel dicembre del 1995, dall’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, dall'allora presidente della Società italiana di Radiologia Ludovico Dalla Palma e alla presenza del direttore del Röntgen Museum di Ramscheid-Lennep dr. Uhlrich Hennig, proprio in occasione del Centenario della scoperta dei raggi X, è uno dei pochissimi musei d’Europa dedicato a tale argomento.

Come molti sanno, Roentgen scoprì i raggi X quasi per caso, mentre studiava gli effetti del passaggio della corrente elettrica attraverso i gas. Si trovava in una stanza buia ed aveva il tubo di scarica avvolto dentro un foglio di cartone nero in modo da eliminare del tutto la luce, quando un altro foglio di carta coperto da una sostanza fosforescente, divenne fluorescente. Alcuni elettroni, quindi, incontrando gli atomi della sostanza, avevano impresso il segno del loro passaggio sul foglio, rendendolo fluorescente.

Tale scoperta è valsa il Nobel per la fisica allo studioso nel 1904 e ha cambiato il volto della medicina e di altre discipline, come ad esempio, l’archeologia o la storia dell’arte, negli anni a venire.

Il museo riunisce una nutrita collezione di articoli di giornali di varie epoche che riportano l’evento e documenti vari, come anche la tesi di laurea di Gioacchino Arnone, primo radiologo italiano, ma anche numerosissimi tubi per le radiografie, macchinari per la radioterapia e il chimografo di Pietro Cignolini, cui è intitolato il museo, da lui inventato per meglio analizzare il muscolo cardiaco.

Il Chismografo

Il museo è tutto dislocato al primo piano del reparto di Radiologia del Policlinico, in Piazzetta delle Cliniche…ma trovarlo è stato un’impresa! Poche le indicazioni ricevute in un desolato sabato pomeriggio, anche, paradossalmente, da chi abitualmente lavoro a Radiologia! Poco frequentato dai visitatori, seppure l’evento sia stato pubblicizzato dai media… sarà perché persino le guide, anche se disponibili, ne sanno un’acca dell’argomento? Ritengo che si sarebbero potute scegliere con maggiore scrupolo…

domenica, ottobre 09, 2011

Il Convento di S. Antonino

Prosegue, in questi giorni, il percorso che attraversa le vie dei tesori e che ieri mi ha invogliato a visitare, nelle vicinanze della Stazione Centrale, il Convento di S. Antonino, tutto restaurato e odoroso di nuovo, che, come raccontava la guida, ospiterà aule e uffici del Polo Linguistico dell’Università di Palermo.

Scorcio del chiostro

Convento Seicentesco, da metà Ottocento è divenuto caserma, con tanto di mulino, del quale è ancora visibile la ciminiera e gli antichi forni (che il vostro amico Rino ha eccezionalmente visto!).


Oltre a farvi visionare qualche foto, vorrei segnalarvi 3 eventi che, contestualmente alle visite guidate gratuite, in parte sono in corso di svolgimento, in parte si svolgeranno. Dall’8 al 30 ottobre, l’ex convento ospita la mostra fotografica “Il pane della vita”, immagini di Leonardo Timpone degli altari allestiti in occasione della festa di San Giuseppe nei paesi del Trapanese. A scrivere il vero, più che foto sono pannelli cartonati stampati a partire dalle foto originarie, che sono contenute nella rivista “L’arte del gusto”, che un pannello introduttivo velatamente informa essere in vendita in edicola e libreria…


Interessanti eventi sono quelli del 23 e del 30 ottobre, entrambi alle 18, al termine del mediocre commento guidato: il 23 ottobre Fabrizia Lanza, erede dell’omonima famiglia nobiliare, parlerà di uno dei prodotti che contraddistinguono la storia e la “natura” della cultura siciliana: Il rito del pane.

Il 30 ottobre, a chiusura della rassegna, con I cibi del mondo l’antropologo Franco La Cecla parlerà del cibo come mezzo di scambio e incontro tra le culture, che spesso, nei secoli, si sono accostate convivendo pacificamente oppure si sono fuse gradatamente, fino a perdere il legame con gli effettivi luoghi d’origine.

sabato, ottobre 08, 2011

Gatti in gabbia? Nooooo!

Gattini in gabbia o gattini liberi? Tutto è relativo e dipende dalla prospettiva dalla quale si guardano le cose…di sicuro stanno dormendo della grossa!
E sapete dove? Essi sono 3 dei 4 gatti ospiti d'eccezione, liberi di gironzolare o, per meglio scrivere,  di sgattaiolare, sia sul retro (che nelle sale! sst! non ditelo a nessuno!) del convento di S. Antonino, uno dei tesori dell’Università di Palermo, visitabile nell’ambito de “Le vie dei tesori”, le cui foto posterò domani.
I due laterali non somigliano un po' la mio caro e defunto(sigh!) amico Gadrino?

Buon sabato e…buona nanna!

venerdì, ottobre 07, 2011

De corvo

Dopo aver visto “Kaos” di Vittorio e Paolo Taviani, ho riletto con piacere le 6 novelle di Pirandello, alle quali i due registi si sono ispirati e sono rimasta colpita da “Il corvo di Mizzaro”, il cui protagonista, nel film, svolazza, come scritto nel precedente post, tra un episodio e l’altro.

La novella inizia con un gruppo di pecorai che scoprono(strano a vedersi!) un corvo maschio che cova le uova di un corvo femmina. Oggetto di pubblico vilipendio, il povero corvo, nero come la pece, è facilmente catturato dai pecorai, che, dopo essersi tirati le uova a vicenda, minacciano di sottoporlo alle più dolorose torture.

Alla fine, forse per una crisi di coscienza, un pecoraio gli lega attorno al collo una campanella e lo lascia volare via. Tin tin tin! Ecco il suo annuncio al suo, prima silenzioso, ma ora gioioso passaggio!

Il tinnare del corvo, però, non è avvertito come un segnale propizio da un’altro pecoraio, che ignora la sua presenza e che, invece, pensa che a perseguitarlo siano gli… spirdi, una sorta di anime di mal trapassati, che vagano per l’aere in attesa che qualche anima pia preghi per loro per facilitare il loro transito nell’aldilà.

Per farla breve, il pecoraio, alla fine, scopre che a tinnare è il corvo e gli prepara una trappola. Dopo averlo catturato e maltrattato, lo carica sul suo paurosissimo asino che, appena lo sente tinnare, comincia a correre a perdifiato e…devo proprio svelarvi il finale? Che gusto c’è? Leggetevi la novella!:P

Dopo averla letta (IO!), ho iniziato a meditare sul significato che le varie culture associano al corvo: generalmente, infatti, a causa delle sue penne corvine, è considerato una sorta di uccello del malaugurio, che porta sempre cattivi auspici e dal quale è meglio tenersi alla larga. In questo modo, ad esempio, lo caratterizza Edgar Allan Poe, nel suo famoso “Il corvo”, uccello d’ebano e torvo, che gli compare nella notte buia, proferendo la sola espressione “Mai più”, quasi a voler presagire una morte imminente.

Veste, poi, il ruolo dell’uccello inaffidabile nella Bibbia, quando Noè si trova sull’Arca e vuole scoprire quando il Diluvio si arresterà. Liberatone uno, quindi, affinché, tornando, gli rechi qualche segno della ripopolazione del globo, con notevole stupore, l’uccello non fa più ritorno così il profeta lo maledice.

Un episodio simile proviene dalla cosmogonia Algonchina, più precisamente da uno dei suoi miti della creazione: dopo il diluvio, il dio Michabo, volendo ricostruire la terra, inviò un corvo a cercare dell’argilla ma, anche questa volta, il corvo pensò al fatto suo e non fece più ritorno.

Come si dice “la libertà mette proprio le ali”!

Finora l’uccello pare avere una connotazione negativa , anche se, restando in suolo amerindiano e includendo parte del continente asiatico, il corvo è diffusamente considerato quello che gli antropologi nominano “trickster”, una sorta di briccone che ama prendere in giro la gente e organizzare scherzi, ma, come abbiamo visto tra gli Algonchini, che è anche associato e avvicinato al divino e ha spesso caratteristiche tipiche dello sciamano. In queste culture, insomma è una sorta di unione di opposti, difficili, però, da separare.

Man mano ci si sposta in suolo europeo, le opposizioni tendono a separarsi (non ad attrarsi!) poiché, come abbiamo visto all’inizio, il corvo è considerato uccello del malaugurio e con valore negativo in moltissimi casi mentre, in moltissimi altri, ha connotazioni esclusivamente positive.

Addirittura, nella favola di Lafontaine del corvo e della volpe, il corvo appare un animale davvero ingenuo:

“Un corvo aveva rubato un pezzo di carne e si era posato sul ramo di un albero. Lo vide una volpe, cui venne voglia di quella carne. Si fermò sotto l’albero e cominciò a lodare il corpo e la bellezza del corvo, dicendo che nessuno era più adatto di lui ad essere il re degli uccelli e che lo sarebbe diventato senz’altro, se avesse avuto la voce. Il corvo, allora, volendo mostrare che la voce non gli mancava, si mise a gracchiare con tutte le sue forze, lasciando cadere la carne. La volpe si precipitò ad afferrarla, soggiungendo: "Se poi, caro il mio corvo, tu avessi anche il cervello, non ti mancherebbe proprio altro, per diventare re".

Ecco una favola adatta per un uomo stolto.”

Nella mitologia nordica, poi, il corvo è associato ad uno degli dei più potenti ed importanti, ovvero al dio Odino detto, addirittura, Revnegud, cioè il dio dei corvi perché, in genere, è rappresentato come uno splendido guerriero su un cavallo alato con 8 zampe, accompagnato dai suoi due corvi messaggeri, Huginn e Muninn, che fanno la spola tra il cielo e la terra per riferirgli quanto hanno visto e udito nel mondo…e stavolta tornano, eccome se tornano!

Per inciso, anche Apollo aveva come un messaggero dalle piume bianche che, suo malgrado, trasformò in nere quando la sua scappatella con la mortale Coronide(la madre di Asclepio) gli finì male!

Per finire, tornando a casa, ci sono corvi pure nell’iconografia di certi santi… chi per esempio? I poco noti San Paolo di Tebe e Sant’Espedito di Metilene e il… famosissimo San Benedetto da Norcia!

Avete visto quante cose si scoprono? Malgrado tutti gli uomini (per loro natura, almeno i più svegli!) associno sempre significati a tutte le cose, inclusi i corvi, che vedono, ogni cultura, alla fine, può attribuire a queste stesse cose, significati, a volte e apparentemente, opposti!

mercoledì, ottobre 05, 2011

Dal Cosmos...al Kaos

"Devi avere un caos dentro di te per far fiorire una stella che balla."
Zucchero (contaminando F. Nietzsche)
Qualche giorno fa ho visto un film ormai un po’ datato ma votato molto positivamente dai suoi spettatori, nei vari siti internet dedicati al cinema. Alludo al film “Kaos”, girato nel 1984 da Paolo e Vittorio Taviani e premiato con due David di Donatello.

È un film ad episodi della durata di 180 minuti, che, liberamente, si ispirano a 5 novelle, più la prima parte di un’altra, di un autore siciliano tanto caro ai due fratelli registi, Luigi Pirandello.

Emblematico è, per cominciare, il titolo che, per Pirandello, era l’italianizzazione del termine dialettale Cavusu, zona boscosa limitrofa ad Agrigento, dove lo scrittore aveva trascorso la sua infanzia. Kaos, nel film, sta, soprattutto, però, a rimembrare il caos primordiale, quello dal quale tutto ha avuto origine e quel caos individuale a partire dal quale, ognuno di noi, nasce, il cui simbolo è l’utero materno, metonimicamente, la madre e, metaforicamente, la giara del terzo racconto.

Cernita accurata, quindi, è stata operata dai fratelli Taviani alla ricerca delle novelle pirandelliane che intimamente legate al tema della madre e del, spesso, burrascoso rapporto madre-figlio, sempre attuale.

Leit motiv e cornice del film sono la musica dell’assai giovane Nicola Piovani e, in special modo, il corvo-maschio di Mizzaro, che svolazza tinnando sulla monotona scena del film, la brulla, desertica e quasi desolata, all’apparenza, Sicilia, ma assai viva e radicata ai sentimenti più puri al suo interno. Al simpatico corvo di Mizzaro ho deciso di dedicare un post a seguire, per cui, almeno per il momento, ometterò di scriverne.

Seguono le novelle “L’altro figlio”, “Male di luna”, “La giara”, “Requiem” e “Colloquio con la madre”, che ritengo siano le più veriste di Pirandello, quelle dedicate ai mestieri simbolo della Sicilia agropastorale, un’isola poverissima e a tratti “brutta”, troppo radicata alle superstizioni e alle credenze, che piagano e mortificano l’esistenza, una Sicilia ignorante ed ignorata, selvatica e ferina ma, al contempo, seducente ed ammaliante.

Credo che, con questo film, i registi abbiano sposato la causa di Pirandello che, per mezzo delle sue novelle, ha voluto comporre un’ode in prosa sulla sua terra contraddittoria ed amatissima, la sua terra nativa, la sua madre-terra che, nel bene o nel male, resta una madre da amare incondizionatamente.

Vi consiglio vivamente di vedere il film.


domenica, ottobre 02, 2011

La parola fine dentro un carcere

La Sicilia secondo un prigioniero
Panormitania sta per chiudere. Dopo circa un anno e mezzo di vita, che ha, anche, visto, la morte del caro piccolo Gadrino, a causa di un brutto diabete, io, Rino, ho perso la motivazione a continuare a scrivere su blogger, per sopraggiunte incomprensioni.

Per un po’ lascerò il blog aperto per quei pochi (ma buoni!) affezionati lettori che, come ho notato, spesso, mi hanno fatto una visitina.

Nei miei progetti futuri è prevista la nascita di un altro blog, figlio di panormitania (ma non su blogger), oppure la nascita di un sito indipendente, come sapeva esserlo il caro Gadrino.



Vi saluto con un paio di foto scattate ieri, durante la visita del Carcere dei Penitenziati, uno dei tesori dell’Università di Palermo, sito in Piazza Marina, alle spalle di Palazzo Steri.

Sono foto di alcuni graffiti e disegni, molti dei quali a soggetto religioso, tracciati dai prigionieri, perseguitati dall’Inquisizione tra gli anni 1601 e 1782, sulle pareti delle celle, sia del settore femminile, a piano terra, che del settore maschile, al primo piano.

Vi consiglio vivamente di visitare i vari siti delle via dei tesori, anche perché, come ho provato, non ci sono molte code, i tempi d’attesa sono accettabili e le guide d’occasione, sebbene alcune stanche di ripetere sempre la stessa tiritera, sono abbastanza preparate.



Un prigioniero, simile a Cristo, trascinato da un inquisitore